Gli avversari sono gli europei: dichiarazioni sconvolgenti degli USA

Gli avversari sono gli europei

«Da oppresso, libero». È il motto dei berretti verdi dell’Esercito degli Stati Uniti. Il loro compito principale è sempre stato quello di addestrare e assistere le forze armate locali di un Paese straniero alleato di Washington.

Questo aveva fatto per ventisei anni Joel Harding. Anzi, l’ufficiale aveva fatto di più. Oltre ai militari, aveva addestrato anche gli agenti dell’Intelligence e perfino gruppi di civili utili per la causa. Proprio così! Perché Harding era anche una spia.

Il berretto verde aveva contribuito a pianificare le invasioni di Haiti, Iraq e Afghanistan, aveva fatto parte dello Stato Maggiore per le operazioni speciali J2 dell’Esercito. Era il collegamento del J2 per le Information Operations (le operazioni psicologiche e di disinformazione militare) con Cia, Dia, Nsa, Disa e altre agenzie di Washington. Infine, aveva contribuito a sviluppare diverse metodologie spionistiche (poco legali) utilizzate da Nsa, Cia e Pentagono.

Era il lavoro presso le Information Operations (IO) ad occupare gran parte del suo tempo. Del comitato facevano parte venti esperti aziendali, governativi, militari e accademici, britannici e statunitensi. Lo IO si occupava soprattutto di guerra cibernetica (condotta attraverso internet). Ma non solo.

Il 28 febbraio 2014, in quanto direttore dell’IO, egli fu nominato anche direttore del Centro di informazione strategica Nse, «che sviluppa programmi nel campo delle operazioni d’informazione, psicologiche, della diplomazia pubblica e dell’influenza strategica».

Il giorno dopo, Harding stipulò un contratto con il neo insediato governo di Kiev. La sua prima decisione fu quella di creare l’(IIO) Operation Inform and Influence. La macchina della propaganda mascherata da libera informazione (e caricata di tutto quanto già prodotto fino a quel momento) si era messa in moto. Obiettivo: mettere all’angolo la Russia.

«Quando parlo di avversari mi riferisco ai leader europei»

La strategia di Harding, come scrisse lui stesso in un documento autografo, passava attraverso un misto di azioni militari, mediatiche e cibernetiche, operazioni di guerra psicologica, una grande copertura mediatica internazionale (promuovendo anche la creazione del nuovo ministero della Politica dell’informazione) attuata grazie a un programma nazionale dell’informazione, un centro di propaganda unificato a Kiev, l’uso di un cyberesercito.

«Le fotografie possono essere ritoccate, come i video. I testimoni oculari devono essere trattati come agenti stranieri sospetti. I reportage non sono affidabili. Anche se è la persona più affidabile al mondo a dire qualcosa, si può sempre bollarla come speculazione, faziosità o come un agente pagato dai russi. Che cosa faremo? Sradicare, rifiutare, corrompere, ingannare, usurpare o distruggere le informazioni. Le informazioni, non va dimenticato, sono l’obiettivo finale della cyberguerra. Tutto questo per aver un impatto diretto sul processo decisionale dei leader avversari. E quando parlo di avversari mi riferisco ai leader europei. Bisogna sviluppare una strategia di contenimento informatico dei media russi ed erigere barriere per controllare l’informazione ucraina».

Così scrisse Harding. E ancora:

«Ho discusso sul possibile uso delle informazioni nei social media come arma. Mi riferisco a uno strumento che rastrella i social media, ne calibra i sentimenti e fornisce all’utente la possibilità di generare automaticamente una risposta convincente. Tale strumento si chiama “Social Networking Influence Engine”».

Social media come armi

Lo strumento più utilizzato dall’IIO fu Wikipedia. Gli operativi dell’ufficio propagandistico hanno passato molto tempo a scrivere sull’enciclopedia dell’etere, modificando eventi e dati a favore della giunta di Kiev e relativi sostenitori, come si legge su di un rapporto interno all’IIO, hackerato e poi pubblicato. E così, via alla riscrittura in termini anti russi delle voci riguardanti le manifestazioni di Majdan, il colpo di Stato del 2014, il massacro di Odessa, l’abbattimento del volo MH17.

In una delle sue tante operazioni spregiudicate, Harding arrivò a presentarsi come ufficiale russo all’attivista pacifista statunitense David Swanson, inoltrando anche una email presso l’Ambasciata russa di Washington, per chiedergli di pubblicare articoli di propaganda russa. Swanson lo smascherò e lo denunciò.

Il pensiero di Harding lo ha riassunto lui stesso in queste poche frasi:

«La guerra d’informazione per l’Ucraina ha assunto un nuovo aspetto. La Russia va abbattuta. Deve soffocare, sentire un dolore oltre ogni limite accettabile. Deve pagare. La Russia deve soffrire».

Lo statunitense arrivò a spingersi anche oltre.

«Bisogna attuare una vera e propria repressione armata del giornalismo ucraino. Gli oppositori e i giornalisti critici vanno neutralizzati».

Giornalisti “neutralizzati”

Così, quotidianamente, settimanalmente, iniziarono a sparire (come i desaparecidos dell’America Latina) giornalisti, scrittori, intellettuali, politici. Dei più fortunati furono ritrovati i cadaveri (mai individuati gli assassini); degli altri si persero letteralmente le tracce.

Inaugurò la lunga lista il giornalista e scrittore Oles Buzina, poi fu la volta del giornalista Sergej Sukhbok, della direttrice del “Neteshinskij Vestnik” Olga Moroz, del deputato Oleg Kalashnikov, delle blogger Svetlana Naboka e Marina Zhavoronkova. E ancora e ancora.

Harding, dal suo ponte di comando, con una potenza di fuoco di oltre tremila blog di tante nazioni diverse, martellava senza sosta. A lui era permesso tutto, perché lui non esisteva. Non c’era nessun legame tra l’ex ufficiale dei berretti verdi e il governo degli Stati Uniti. Come il personaggio di Ethan Hunt di “Mission Impossible”. Se scoperto, sarebbe stato immediatamente sbugiardato dallo stesso Dipartimento di Stato.

I suoi blog incitavano al boicottaggio del gas russo, glorificando quello scisto (estratto dalla roccia) proveniente dagli Usa. I suoi blog trasformarono un criminale di guerra dei tempi di Hitler (Stepan Bandera) in un sincero patriota, desideroso unicamente della felicità e dell’indipendenza del popolo ucraino.

La lista

Come è emerso da molti documenti ufficiali ucraini, Harding convinse il governo di Kiev a redigere una vera e propria lista di proscrizione, una lista di «nemici del popolo ucraino», una lista di persone contro cui scatenare una vera e macchina del fango, di persone da neutralizzare in ogni modo, arrestandole, o eliminandole se necessario.

Una lunga lista, fatta di migliaia di nomi. Cittadini ucraini, cittadini russi, cittadini del resto del mondo. Cantanti, scrittori, giornalisti, politici, intellettuali, operatori umanitari. Non aveva importanza chi fossero. Era sufficiente aver fatto un viaggio in Donbass, essersi espressi in favore di Putin, aver criticato il governo ucraino. Loro, i loro familiari (non importa quanto piccoli di età) erano divenuti tutti bersagli.

Il messaggio che doveva passare era: dell’Ucraina bisogna dire solo bene, della Russia solo male, senza tentennamenti. Propaganda allo stato puro. Ma più sottile. Si doveva bloccare alla radice il dissenso rispetto al pensiero unico pro Kiev, prima ancora che si potesse esprimere.

Lo schema di gioco, però, non era stato affidato tutto ad Harding. C’era dell’altro.

Tratto dal libro Ucraina, dal Donbass a Maidan, di Franco Fracassi.

Per l’acquisto del libro scrivere all’indirizzo email: francofracassi1@gmail.com